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La contea sorse grazie ad una serie di privilegi devoluti a partire dal 1540 dall'imperatore Carlo V a Nicola Maria Caracciolo, vescovo di Catania, che culminarono con la concessione del mero et mixto imperio, ossia della giurisdizione civile e criminale sul territorio di Mascali. È grazie a tali atti ufficiali che i successori del vescovo Caracciolo si fregiarono per oltre due secoli del titolo di "Comes Maschalarum" (Conte di Mascali).

La contea di Mascali si estendeva su di una vasta area boschiva infeudata a partire dal XII secolo e già possedimento della diocesi di Catania a seguito di una donazione di Ruggero II di Sicilia nel 1124 al vescovo di Catania Maurizio. Il quale territorio però fu successivamente incorporato ecclesiasticamente all'interno della Diocesi di Taormina prima, e nell'Arcidiocesi di Messina poi, creando non poche difficoltà alle istituzioni ecclesiastiche locali e agli abitanti, sottoposti contemporaneamente a due autorità religiose, con una autorità quale quella del Vescovo di Catania ad avere una prevalenza di carattere civile.

Posto alle falde dell'Etna, tra Acireale e Taormina, il territorio della contea degrada verso il mar Ionio, formando un'ampia insenatura, la quale, se non offre sicuro riparo alle barche, consente tuttavia un facile approdo, e si presenta come naturale sbocco per i prodotti dell'entroterra - essenzialmente il vino -, che su quella spiaggia venivano «riposti» nei magazzini in attesa dell'imbarco. La spiaggia, appunto, di Riposto, la piana di Mascali su cui sorgevano i «quartieri», cioè i borghi rurali della contea, tra i quali emergeva Giarre, con la collina dove era posta la città che dava il nome alla contea e ne rappresentava il centro amministrativo: era questa l'articolazione territoriale disegnata dall'assetto naturale e da una intensa azione dell'uomo. Le tre fasce avevano assunto tra il Sei e Settecento una fisionomia differenziala: la piana - la zona più fertile - era l'area dei vigneti, il cui continuo estendersi aveva determinato l'espansione di insediamenti abitativi; la costa, su cui invece l'insediamento era scoraggiato dalla possibililà di incursioni barbaresche, era il luogo privilegiato del commercio; la collina, infine, proprio perché ben più al riparo da quel rischio, era la sede delle funzioni giuridiche e amministrative della contea, patrimonio del vescovo di Catania.

Il territorio su cui si estendeva la contea di Mascali, con i suoi 103 Kmq, rappresenta appena lo 0,4% della superficie della Sicilia, e circa il 3% della attuale provincia di Catania. Poca cosa, dunque, eppure degna di attenzione perché teatro, tra gli ultimi decenni del XVIII e la crisi agraria, di una vicenda economica e di un complesso di dinamiche sociali riconducibili alla determinazione di una borghesia mercantile emergente e capace di sfruttare al meglio una vocazione vitivinicola, rispetto alle nuove possibilità e ai nuovi problemi legati alla estensione del mercato.

A partire dal XVI secolo aree sempre più estese erano state concesse in enfiteusi: alla metà del "700 quando la contea passò in affitto al Regio Patrimonio, tale processo riguardava ormai praticamente l'intero territorio. Questo regime fondiario è all'origine dell'eccezionale sviluppo produttivo del territorio.

Il vigneto richiede braccia e lavoro continuativo; richiede, la presenza vigile del coltivatore. Da qui l'addensarsi della popolazione nei tredici quartieri sparsi nel territorio, ed li suo incremento, che da livelli medi nella seconda metà del 700, passa alla fine del secolo a livelli mollo più elevati rispetto alle altre zone della provincia di Catania ed al complesso dell'isola.

La viticoltura, nelle proporzioni assunte, non poteva che rivolgersi al mercato, e non solo a quello locale. Giuseppe Recupero nella sua Storia naturale dell'Etna, scritta intorno al 1770. parla di una produzione annua di 160.000 salme di vino (110.000 ettolitri), e di resa media di 10 salme per tomolo: tali cifre farebbero ammontare l'estensione del vigneto a 1000 salme, cioè a metà dell'intera superficie della contea.
Nel 1827 un viaggiatore d'eccezione, il giovane Tocqueville, percorrendo le pendici dell'Etna si meravigliò di trovarsi «au milieu d'un pays enchant qui on surprendrait partout, el qui vous ravit en Sicile»; e non sembrandogli sufficiente la fertilità del suolo vulcanico a spiegare quella prosperità agricola e commerciale, la attribuì al «morcellement extreme des propriétés», ipotizzando che fosse questo il regime fondiario più favorevole per lo sviluppò economico dell'isola.

Si trasferiva il mosto dal palmento alle cantine,  e con i barili si portava il vino per l'imbarco, legati a coppia ai fianchi dell'animale per una capacità complessìva di una salma, detta, appunto, anche «carico». Con questo sistema delle «redini» le merci convergevano verso Giarre; da qui, dove il traffico si intensificava, la strada rotabile consentiva un comodo accesso alla spiaggia di Riposto.

Non fa meraviglia, dunque, che anche a Riposto, col crescere di questo movimento di merci, il borgo marittimo assumesse progressivamente caratteri urbani. Questa tendenza, già nettamente delineata all'inizio del secolo, subì una rapida accelerazione a partire dal 1806-7, dal momento, dell'arrivo delle truppe inglesi nell'isola e in particolare a Messina, città che tradizionalmente si riforniva dei vini di Mascali. Il volume dei traffici aumentò enormemente; si crearono in tempi brevissimi fortune familiari ingenti, come quella dei Fiamingo che furono protagonisti per un secolo della vita economica ed amministrativa ripostese: si verificò verso il centro commerciale uno spostamento consistente di popolazione, che interessò molti commercianti e trafficanti i quali trasferirono la loro residenza vicino al porto, e con loro artigiani, mulattieri. marinai, ed anche impiegati, notai, ed altri esponenti della borghesia urbana delle professioni.

Wikipedia e dal libro Il mezzogiorno preunitario- Angelo Massafra- Università di Bari

 

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