Il convitto nazionale è stata un'istituzione che permise dall'unità d'Italia in poi, per circa un secolo, la frequenza dei licei agli alunni dei piccoli centri periferici, permettendone così anche l'accesso all'università. Mai formalmente aboliti, hanno visto la loro funzione modificarsi in seguito al cambiamento della situazione sociale, a una più agevole mobilità con i mezzi pubblici e privati e al progressivo decentramento scolastico. Con l'unità d'Italia nel 1861 si tentò di sottrarre alla Chiesa il quasi monopolio e si moltiplicarono le istituzioni di Convitti nazionali laici, in molti casi anche materialmente collocati in edifici prima appartenuti ad enti ecclesiastici e demanializzati dopo le leggi per eversione. I convitti nazionali rappresentarono l'aspetto più interessante in materia di istruzione e, sia pure in misura insufficiente, permisero una certa mobilità sociale La riforma Gentile della scuola del 1923 dava grande risalto ai convitti nazionali che hanno avuto il periodo di massimo splendore proprio nell'epoca fascista. Nei momenti del loro massimo fiorire, i convitti costituirono una rete molto articolata e suddivisa nelle diverse province. Per i convitti passò praticamente tutta la classe dirigente italiana nei diversi aspetti: culturali artistici, politici. l Testo unico in materia di istruzione del 1994 (decreto legislativo 297) all'art. 52 prevede “la graduale soppressione dei convitti nazionali che accolgono meno di 30 convittori o semiconvittori” I convitti oggi sono solo quarantuno, distribuiti in tutte le Regioni italiane.
Convitto nazionale Mario Cutelli
Dopo il catastrofico terremoto del 1693, nella Catania risorta si annovera il convitto "Mario Cutelli", collegio voluto dal famoso giureconsulto Mario Cutelli, conte di Villa Rosata e signore dell'Alminusa. La sua realizzazione può collocarsi attorno al 1760 e costituisce, dal punto di vista architettonico, un gioiello dell'arte settecentesca. Nel suo testamento redatto il 28 agosto 1654 innanzi al notaio Giovanni Antonio Chiarella di Palermo, stabilisce che, qualora la linea maschile dei suoi successori si fosse estinta (la quale così si credette ai quei tempi), una parte del suo patrimonio dovrà servire per la fondazione di un “Collegio di uomini nobili” come quello di Salamanca, da cui uscirà quella classe dirigente nobile e virtuosa, ma soprattutto laica, destinata al governo amministrativo-politico del paese. Nel 1747, con la morte dell'ultimo Cutelli, Giovanni, la dinastia si pensava estinta. Il ramo femminile pose molte difficoltà alla cessione dei beni di famiglia, ma alla fine risolse il problema il vescovo Pietro Galletti, che diede in enfiteusi il feudo di Aliminusa al principe di Biscari, e reperì così le risorse da destinare alla costruzione dell'attuale Convitto Cutelli, mentre in seguito Salvatore Ventimiglia e Corrado Maria Deodato Moncada diedero avvio alla costruzione del Collegio Cutelli, insieme agli altri fedecommissari: Michele Paternò Castello, Mario Gravino, Antonio Paternò, Ignazio Abatello, Adamo Benedetto Asmundo (della famiglia degli Asmundo), Giuseppe Celestrio Securo, Antonio Sigone. Il prospetto neoclassico sulla via Vittorio Emanuele è opera del Battaglia e continua sul lato di via Monsignor Ventimiglia e su quello di via Teatro Massimo. La parte attribuita al Vaccarini, che sappiamo alunno del Vanvitelli, è quella del circolare cortile monumentale che, per la purezza e l'armonia delle forme, si ammira entrando nell'edificio. La bella corte circolare è caratterizzata da un pavimento centrale in bianco e nero. All'interno, sotto il quadrante del grande orologio da torre, situato tra le statue del Tempo e della Fama, vi è un'iscrizione: "Ut praeesset diei et nocti anno MDCCLXXIX" ([Questo orologio fu costruito] affinché presiedesse al giorno e alla notte). Le statue del tempo e della fama simboleggiano la rivalità tra le due forze. Degno di menzione è lo scalone di marmo che porta al piano superiore dove si apre l'Aula Magna.
In essa sono affrescate le figure delle glorie siciliane appartenenti al mondo scientifico e giuridico (Caronda, Empedocle, Teocrito, Stesicoro, Recupero, Ingrassia, Giuseppe Gioeni) e dove, nel 1837, furono condannati gli insorti contro i Borboni, come ricorda la lapide affissa alla facciata esterna inaugurata il 4 novembre 1926. Il "Convitto Cutelli" è sede nel XXI secolo di una scuola elementare, una scuola secondaria di primo grado e di un Liceo Classico Europeo.
Il sistema delle torri di avvistamento costituiva un complesso correlato di fortezze, castelli, guardie, poste e torri aventi due finalità principali: una di osservazione e di allerta e una di difesa; la prima funzione veniva assolta attraverso un cordone ininterrotto di segnalazioni che seguiva dalle marine il costeggiare del naviglio nemico, mettendo in allarme le popolazioni e le milizie del territorio circostante; la seconda funzione si attivava in caso di tentativi di sbarco, attraverso l’uso dell’artiglieria e della moschetteria, il riparo dato alle popolazioni in fuga, l’invio di staffette per sollecitare l’arrivo delle truppe della milizia locale e della cavalleria leggera.
La Sicilia è sempre stata terra di sbarco ma nel XIV secolo il Popolo Siciliano ha avuto la necessità di un controllo delle coste più assiduo, quindi tra il 1313 ed 1345 Federico III re di Sicilia fa costruire un sistema di 40 torri costiere di avvistamento e difesa, per lo più di forma cilindrica.
Il 15 gennaio del 1296 il Parlamento Siciliano con decisione rivoluzionaria, in quanto tutti i sovrani in Europa lo erano per grazia di Dio, considerò decaduto dalla carica Giacomo II ed elesse il fratello Federico con il titolo di Federico III Re di Sicilia. Il 25 marzo dello stesso anno venne incoronato nella Cattedrale di Palermo con il Popolo Siciliano esultante.
Proprio questo evento scatenò “quasi una crociata”! Il Regno di Sicilia fu attaccato da una coalizione, (sotto la regìa e l’incitamento di papa Bonifacio VIII), formata dal regno angioino di Napoli, dai guelfi italiani, dal regno di Francia e regno d’Aragona. Quando poi fu firmata la pace di Caltabellotta i Siciliani hanno dovuto difendersi dai pirati e dai corsari tunisini.
Il sistema delle torri viene ancor più reso un progetto organico di difesa costiera dell’isola nel 1405, quando Martino I Re di Sicilia (1374 1409) fa restaurare le torri esistenti e costruire di nuove. Ma i problemi si intensificano ancor più per il continuo assalto piratesco e soprattutto corsaro sia del nord Africa maghrebino sia dai turchi insediatesi ad Algeri. Tra questi il famoso corsaro Barbarossa. Gli attacchi e gli sbarchi furono anche dai corsari dei vari stati europei e dai predoni di ogni fede. Quindi a partire dal 1547 la Deputazione del Regno di Sicilia incentivò gli investimenti sul sistema di difesa delle torri. Proviene da questo periodo il motto siciliano:“cu piglia un turcu è so’”. Vuole significare che l’azione di difesa contro lo sbarco turco, fatto per lo più da volontari del popolo, non era ben ordinato militarmente, quello che contava era dargli addosso.
Dal punto di vista funzionale le torri si distinguevano in due grandi categorie: le torri di difesa vere e proprie, che sorgevano vicino ai centri abitati ed erano provviste di guarnigione armata; le torri di guardia o di avvistamento (guardiole) più piccole, disposte sulle alture per sorvegliare molte miglia di mare. Amministrativamente, invece, si distinguono tre tipi di torri: le torri di Deputazione, direttamente gestite dal Regno di Sicilia e le torri poste sotto la gestione delle Universitas locali, dotate di spesse mura merlate e cannoniere, ma anche di cisterne per l’acqua piovana, utili in caso di assedio prolungato; infine le torri appadronate, cioè private, concepite come magazzini fortificati di difesa delle attività e della produzione agro-pastorale, oltre che delle maestranze. Le torri di Sicilia più antiche risalenti al 1300 – 1400 erano a pianta circolare e di aspetto cilindrico. Le torri camilliane invece presentano una pianta quadrata con rafforzamento a scarpa della base ed elevazione su tre piani.
I luoghi abitati della costa siciliana e i baroni-mercanti dei caricatoi avevano eretto torri e castelli, ma una formulazione strategica difensiva complessiva – comprendente organicamente l’intero territorio isolano, e idealmente tutti i territori costieri dell’impero – iniziò ad aversi con Gonzaga e soprattutto con Vega, che per primo si prefisse lo scopo di creare una rete di torri costiere che, integrate al sistema delle fortezze anch’esso in trasformazione, fossero in grado di comunicare l’un l’altra un eventuale pericolo proveniente dal mare attraverso segnali di fumo o di fuoco. Dal 1549 al 1553 se ne costruirono trentasette, ma nei decenni successivi si privilegiò la spesa per la flotta, e si andò poco avanti in questo settore. Nel 1578 il senese Tiburzio Spannocchi presentò la sua relazione tecnica sul sistema delle torri, in seguito alla quale Marcantonio Colonna fece approvare un donativo parlamentare di 10.000 scudi triennali per il completamento del circuito di avvistamento costiero. Pochi anni dopo (1583-84) Camillo Camilliani stese un’altra dettagliata relazione in cui individuava come necessari 175 nuclei difensivi, 43 dei quali già esistenti, 33 ancora in costruzione o bisognosi di riparazioni, e 99 da edificare. Il progetto Camilliani rimase largamente incompiuto, trovandosi di fronte il formidabile ostacolo delle scarse risorse finanziarie dell’erario siciliano e spagnolo. Trent’anni dopo, in un nuovo progetto, il numero dei punti fortificati ritenuti necessari fu ridotto da 175 a 136, e la relazione del commissario generale delle torri, Lelio Scalalone, mostrò un progresso dai 76 nuclei funzionanti o in via di attivazione rilevati dal Camilliani, a 87 funzionanti nel 1616-7, più altri 25 segnalati dal Camilliani ma non considerati dallo Scalalone stesso in quanto integrati nei sistemi di difesa urbani al di fuori delle sue competenze. Le torri in costruzione erano 5, e di altre 44 rimanevano i progetti sulla carta. In sostanza il commissario riteneva che il sistema complessivo fosse operante al 64% dell’optimum fissato nel 1618; un altro 4% era in fase di costruzione, e il 32% rimaneva allo stato progettuale. Alla parte del primario progetto (Camilliani) che era stata depotenziata, si cercò di porre qualche riparo con l’impiego di guardie di posta nei tratti di costa lasciati vuoti. La cifra complessiva di 120 torri esistenti, segnalata nel 1593 dal Crivella, può ritenersi quindi sostanzialmente corretta. Le guarnigioni erano limitate a due, tre o quattro elementi (un caporale, un artigliere se c’erano pezzi, e uno o due soldati). Si previde un contingente di 208 soldati ordinari in servizio per tutto l’anno, cui se ne aggiungevano tra aprile e novembre altri 665, ma spesso la realtà era inferiore alla norma: nel 1618, per esempio, si contarono in tutto 157 militari. Le ronde costiere (cavallari) mobilitavano 284 militari più altri 60 nel periodo primavera-estate. Vi erano poi, secondo l’importanza e lo stato di efficienza, un numero variabile di pezzi d’artiglieria di vario tipo (colombrina, sangro, falconetto) e di altre armi: in tutto 93 pezzi d’artiglieria (di cui 11 inservibili), 184 archibugi, 99 moschetti, 37 maschi e 147 alabarde. Scalalone richiese altri 31 pezzi, 38 archibugi e 53 alabarde.
Il corpo gestionale-amministrativo era così costituito: commissario generale delle fabbriche delle torri, capo mastro delle fabbriche, munizioniere, procuratore, razionale, percettore del donativo, con i loro sottoposti; a livello locale le varie funzioni erano esercitate dai soprintendenti, nominati dalla Deputazione spesso in considerazione del fatto di aver contribuito a spese di costruzione o di gestione. Alcune delle torri della Deputazioni erano a gestione mista: quella di Scalambri era divisa con componenti della famiglia Bellomo, quella di Vindicari con il m.se della Motta, quella del Capo Mulini o S. Anna con la città di Aci, quella di Furnari con il b.ne di Furnari, e quella di Marina di Patti con la città di Patti. La città di Palermo ne ‘possedeva’ dodici, altre erano gestite da Trapani, Marsala, Mazara, Sciacca, Siracusa, Patti, Cefalù, Termini. Tra i titolari, oltre ai citati, si trovavano la baronessa di S. Fratello, il vescovo di Catania, la Commenda di S. Giacomo, il barone di Siculiana, il conte di Modica, il barone di Ficarra, il conte di Naso, il conte di Raccuja, il barone di S. Nicola, il principe di Trabia, il principe di Castelbuono, il principe di Butera, il barone di Roccella, il barone di Armigi. L’addensamento delle torri, come delle progettazioni, si aveva attorno a Palermo e poi man mano a difesa del Val Mazara e del Val di Noto fino ad Avola, mentre minore attenzione era prestata alla linea Siracusa-Augusta-Catania sulla costa orientale, e Messina-Milazzo, fino a Cefalù, sulla costa settentrionale.
Le torri accomunano il paesaggio costiero siciliano come è comune la sua storia e la sua natura. Il paesaggio è il punto di incontro tra i beni materiali e immateriali del posto. Nel paesaggio vi è l’identità del Popolo che lo abita. Violentare il paesaggio, cancellando le testimonianze storiche o deturpando la sua integralità naturale, significa eliminare la coscienza del suo Popolo. Mentre bisogna ancor più valorizzare anche come risorsa economica tramite il turismo.
Foto di: Fabio Militello; Sandro Scalia su concessione del Centro regionale per l’Inventario e la Documentazione grafica, fotografica, aerofotogrammetria, audiovisiva, filmoteca regionale siciliana, della Regione Siciliana BB.CC. e I.S.; Fonti:Le armi dei Siciliani nella Sicilia spagnola (secoli XV-XVII)- Le torri di avvistamento Siculianesi di Alphonse Doria
A differenza della lingua italiana che ha il sistema eptavocalico, cioè sette vocali, le vocali in siciliano hanno un sistema pentavocalico, cioè hanno cinque vocali: a, e aperta, i, o aperta, u.
Le principali caratteristiche fonetiche sono:
La a è pronunciata [ a ] come in italiano.
Laiè pronunciata [ i ] come in italiano.
La u è pronunciata [ u ] come in italiano.
Consonanti
La d si pronuncia normalmente [ d ].
La dd è pronunciata retroflessa:[ ɖɖ ]. Vedi: beddu, cavaddu. (bello, cavallo)
La r si pronuncia retroflessa ([ ɽ ]) solo se seguita da vocale.
Il gruppo tr si pronuncia sempre retroflesso: [ ʈɽ ]. Vedi: trenu, tri (treno, tre). Eccezion fatta per le Madonie, dove si pronuncia come in italiano.
Le parole che iniziano per str si pronunciano con l'unione dei due fonemi [ ʂɽ ]. Vedi: strata (strada).
La z si pronuncia quasi sempre sorda ([ ts ]), raramente sonora. Vedi: zùccaru (zucchero) o zuccuru.
La j si pronuncia [ j ] come la i italiana di ieri. A volte, anche il gruppo consonantico della lingua italiana "gl" assume in siciliano una pronuncia simile alla "j".
La h non è muta, ma comporta un'aspirazione, la fricativa velare sorda come in tedesco "Bach". Tale fono è rappresentato dal gruppo hi, per gli altri gruppi ha l'aspirazione normale (glottale). Fa eccezione quando è usata per distinguere il verbo avere: in questo caso è muta.
In siciliano sono presenti molte parole con le consonanti duplicate a inizio parola. Le più comuni sono: cci, nni, cchiù, ssa, ssi, ssu, ccà, ddòcu, ddà.
Articoli
Gli articoli determinativi sono (l)u, (l)a, (l)i, l'. Gli articoli lu, la, li, (uso minore) perdono la "L" iniziale e diventano u, a i dipende la parola che segue, la parola che precede, il contesto in cui viene utilizzato per rendere la frase più comoda. Quelli indeterminativi sonoun(u) o nu, na, n'. In siciliano non esiste la forma plurale di questi (ovvero dei e delle): al posto di questi viene usato "na pocu di", na para di, (un paio di), na trina di, ma anche n'anticchia di (un pochino di) ecc. Nel trapanese (ad eccezione del comune di Marsala) gli articoli non vengono quasi mai accorciati, soprattutto quelli determinativi. La bimba si è nascosta dietro il muro: La nuddrica s'ammucciao darré la cantunera. L'inquilino del piano di sopra ha il passo pesante: Lu vicinu ri supra avi lu peritozzu. I custodi sorvegliano le barche dentro il molo; diventa: Li vardiani talianu li varchi rintra lu molu.
Nomi
I generi sono due: maschile e femminile, ma sono rimasti sostantivi di genere neutro, classificati secondo il genere neutro del latino. Il neutro non ha però un suo articolo perché in siciliano le parole vengono appoggiate da articoli maschili o femminili. Alcune di queste parole neutre sono:
(in italiano: l'oliva) che in siciliano ha tutti e due i generi quindi: l'alivu o la aliva
(in italiano: l'animale) cioè: lo armali o la armali;
(in italiano: le persone) cioè la genti, lu cristianu/la cristiana o li genti, li cristiani
Pronomi
Personali
Singolare: Iu/jo/ju/eo, tu, iddu, idda (soggetto); mia, tia, iddu, idda (complemento); mi, ti, ci/si (particella pronominale).
In siciliano l'unico ausiliare è il verbo avere. I verbi possono essere: regolari, irregolari, transitivi, intransitivi, riflessivi, difettivi, servili. Il futuro al giorno d'oggi viene utilizzato solo in forma perifrastica ("jiri" + "a" + infinito). Purtuttavia lo studioso Giuseppe Pitrè ne riporta la presenza nel suo saggio "Grammatica Siciliana". Si noti che l'uso del futuro è recentemente talmente caduto in disuso che Leonardo Sciascia ebbe a dire: «Come volete non essere pessimista in un paese dove il verbo al futuro non esiste?»
Avverbi
-Di luogo:
Sotto: sutta
Sopra: supra, ncapu
Giù: jusu
Su: susu
Lì: ddrocu (o ddrùacu)
Qua: ccà
Là: ddà
Dove: unni
Intorno: ntunnu
Dentro: dintra, rintra
Fuori: fora (o fùara)
Davanti: avanti, davanzi, navanzi, ravanzi
Vicino: vicinu/appressu (o apprìassu)
Lontano: arrassu/luntanu
Verso agghiri, ammeri
A fianco: allatu/attagghiu, dattagghiu, rattagghiu
-Di tempo:
Dopo: doppu
Prima: avanti, apprima
Ora: ora (o ùara)
Ieri: ajeri, aìari
Oggi: òi (o stainnata)
Domani: dumani (o rumani)
Quando: quannu
Mai: mai
Mentre: mentri
Fino: nzinu/nfinu
-Di quantità:
Abbastanza: bastanti
Quasi: casi, quasica
Meno: mmenu
Più: cchiù
Poco: picca
Quanto: quantu
Molto: assái
Tanto: tantu
Un pochino: anticchia
-Di maniera:
Come: comu, cuamu
Bene: bonu, buanu
Male: malu
Così: accussì
Circa: ammeri
Inutilmente: a matula
Di nascosto: ammucciuni
All'improvviso: a strasattu
A poco a poco, subdolamente: 'nzuppìlu
-Altri avverbi: Siccome, dunque, anche, avanti, in primis (prima di tutto), in mezzo, invece.
siccomu
annunca
macari
avanti
prìmisi
mmenzu, mmiazzu
mmeci, a locu di
Preposizioni
Le preposizioni semplici sono:
a
cu
n
di
pi
nna
nni
nta
ntra
sinza
supra
sutta
Queste preposizioni possono essere usate anche come articoli determinativi:
Preposizione:
+ Articolo: lu =
+ Articolo: la =
+ Articolo: li =
+ Articolo: un =
a
ô
â
ê
ôn
cu
cû / cô
câ
chî / chê
c'un
di
dû / dô
dâ
dî / dê
d'un
pi
pû / pô
pâ
pî / pê
p'un
nna / nni
nnô / nnû
nnâ
nnê / nnî
nn'un
nta / nti
ntô / ntû
ntâ
ntê / ntî
nt'un
ntra
ntrô
ntrâ
ntrê
ntr'un
Congiunzioni
i/e, pure, pure, però, neanche, ancora, anche, ma, perché, seppure, invece
So bene che molti, alla domanda "Che cosa ha dato la Sicilia all'Italia e al mondo?", risponderebbero che la Sicilia "ha dato la mafia", perché purtroppo la nostra terra, in Italia e nel mondo, è conosciuta soltanto per questo aspetto negativo, data l'enorme insistenza con cui si parla di questo problema sui giornali, nella radio, e nelle TV di tutto il mondo, ignorando, spesso volutamente, che la mafia non è nata in Sicilia, ma nella Spagna, dove già nel 1412 esistevano a Toledo le "Onorate società"; la Spagna ha importato la mafia nei suoi domini italiani, non solo in Sicilia e nell'Italia meridionale (con la camorra a Napoli, con la 'ndràngheta in Calabria, e con la onorata società in Sicilia), ma anche in Lombardia, come clamorosamente dimostrano i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, che descrivono la società lombarda del Seicento come una società mafiosa completa in lutti e tre i suoi livelli (al livello di base con don Rodrigo, al livello medio con l'Innominato, e al livello di "cùpola" con il Conte-zio) e in tutti i suoi aspetti, con i killers che allora si chiamavano "bravi", con i confidenti come Egidio, l'amante della "Monaca di Monza", e con i "coinsigliori" come l'avvocato Azzeccagarbugli), e perfino con il linguaggio tipico della mafia, come avviene nel capitolo Vili, quando i bravi di don Rodrigo, dopo la "notte degli imbrogli" e il mancato ratto di Lucia, intimano al console del villaggio di non fare rapporto alle autorità su ciò che era accaduto, "per quanto aveva cara la speranza di morire di malattia". La Sicilia, fortunatamente, ha dato ben altro all'Italia e al mondo nel corso dei secoli, e con apporti positivi in ogni campo, perché all'Italia ha dato perfino il nome, che deriva dalla parola siciliana Vilulia, che indicava "la terra dei vitelli", cioè la fascia costiera jonica che va da Taormina a Messina, dove secondo la tradizione mitologica venivano allevati i vitelli sacri al dio Sole, come sappiamo dall'Odissea di Omero, e dal "Problema bovinum" che Archimede propose ad Eratòstene di Cirene nel III secolo a. C, per sapere di che colore fossero i vitelli sacri al dio Sole; e l'espressione originaria di Vitulia si tra sformò in Italia perché, come ci attestano i grammatici latini Pompeo Pesto e Varrone, le antiche popolazioni della Penisola chiamavano "itali" i vitelli; e la nuova denominazione geografica varcò lo Stretto di Messina, e risalì la Penisola fino alla Val Padana, facendo scomparire le vecchie denominazioni geografiche di Esperia, Ausonia, Nettunia, Saturnia, Enotria e Vulcania; e "la prova del nove" di quanto da noi asserito sia nel fatto incontrovertibile che l'unico degli 8103 comuni italiani che porti il nome di Itala si trova proprio nella fascia costiera siciliana che va da Taormina (il cui nome deriva appunto da "toro": e in latino è "Tauromoenium") a Messina, nella "terra dei vitelli" cantata da Omero e indagata da Archimede. Vediamo ora, brevemente, i principali contributi dati dalla Sicilia al progresso, nei vari campi dell'attività. NEL CAMPO ARTISTICO E CULTURALE - il pittore Antonello da Messina nel '400, autore dell'Annunziata, che è considerato unanime mente come il ritratto più femminile del mondo; e, in tempi più recenti, i pittori Giuseppe Scimi da Zafferana Etnea, Francesco Lojacono da Palermo e Renato Guttuso da Bagheria; i musicisti Alessandro Scarlatti da Palermo, Vincenzo Bellini da Catania (che Wagner ha giudicalo autore "della più pura melodia che sia mai sgorgata da cuore umano") ed Enrico Petrella da Palermo; - -gli scultori Benedetto Civiletli, Mario Rutelli, Giacomo Serpotta, Ignazio Marabitti, i Gagini, Ettore Ximenes; e in tempi più recenti Enzo Assenza da Pozzallo (Ragusa), Emilio Greco da Catania e Francesco Messina da Linguaglossa (Catania); - gli architetti Feace da Agrigento nel periodo classico; Matteo Carnelivari da Noto nel Quattrocento; Filippo Juvarra da Messina nel Settecento, ed Ernesto Basile da Palermo ai nostri tempi; - i drammaturghi Epicarmo da Siracusa, che creò la commedia prima di Aristofane; e Luigi Pirandello da Agrigento, che ha rinnovato il teatro moderno, ed è stato insignito del Premio Nobel nel 1934; - i registi cinematografici Nino Martoglio, creatore del neorealismo già nel 1914; Frank Capra, 4 volte Oscar; e ai nostri giorni Giuseppe Tornatore; - gli attori Giovanni Grasso e Angelo Musco da Catania; e le attrici Virginia Balistrieri da Trapani, Tina Di Lorenzo da Noto, Mimi Aguglia da Palermo, e Rosina Anselmi e Marinella Bragaglia da Catania; - i poeti come Cielo d'Alcamo, Jacopo da Lentini, Antonio Veneziano da Monreale, detto "il siculo Petrarca"; Giovanni Meli da Palermo; Nino Martoglio da Belpasso e Salvatore Quasimodo da Mòdica Premio Nobel 1959; - gli scrittori Giovanni Verga, creato senatore nel 1920; Luigi Capuana, caposcuola del verismo in Italia; Federico De Roberto, autore de "I viceré", e Giuseppe Tornasi di Lampedusa, autore de "II gattopardo"; il critico letterario Luigi Russo da Dèlia (Caltanissetta) e il critico d'arte Stefano Bòttari da Fiumedinisi (Messina). NEL CAMPO FILOSOFICO - Empédocle da Agrigento, che nel V secolo a. C. espresse per primo il concetto intellettuale di Dio; - Gorgia da Lentini, creatore della dialettica, e padre della sofistica, con la sua conturbante arte oratoria; - Michelangelo Fardella da Trapani, che fece conoscere Cartesio in Italia, e ispirò a Leibnitz il concetto di "mònade", affermando la base immateriale della materia; - Giovanni Gentile da Castelvetrano (1875-1944) riformò la dialettica hegeliana, e creò l'attualismo, che afferma l'auto educazione dell'uomo, nei tre stadi di arte, religione e filosofia; - Simone Corleo da Salemi (1823-1891), professore di Filosofia all'Università di Palermo, nel 1889 creò il primo laboratorio di Psicologia sperimentale in Italia; Angelo Sacheli da Canicattì (1890-1946), professore all'Università di Messina, fu il fondatore della "pedagogia metafisica", e nel 1939 fu premiato dall'Accademia dei Lincei. NEL CAMPO STORICO - Timeo da Taormina, del IV-III secolo a. C, fu il primo ad ancorare il racconto storico al computo cronologico delle Olimpiadi; - Diodoro Siculo da Agira, nel I secolo a. C, fu il primo storico a tentare una Storia universale, con i 40 libri della sua Biblioteca storica; - Rocco Pirri da Noto (1577-1651) con la sua opera Sicilia sacra, pubblicata a Palermo nel 1630, precorse di tredici anni gli sludi di storia ecclesiastica in Italia di Ferdinando Ughelli, che è erroneamente considerato il fondatore di questi studi in Italia; Rosario Gregorio da Palermo (1753-1809) ha dimostrato, già nel 1798, che la narrazione storica deve basarsi unicamente sui fatti documentati, e non sulla personale interpretazione dello storico; - Michele Amari per il Medioevo siciliano; - Gaetano Columba, Biagio Pace e Santo Mazzarino per la storia antica, e Rosario Romeo per quella risorgimentale, hanno dato esemplari ricostruzioni dei periodi storici trattati; della storia di Sicilia come "Storia del popolo siciliano" si è occupato Santi Correnti da Riposto (Catania), la cui opera è stata apprezzata da storici come Franco Cardini, Massino Ganci, Giovanni Spadolini e Giuseppe Tricoli per i suoi contributi alla storiografia contemporanea, con i concetti di Bievo, di Guerra dei Novant'anni, Storia inter-regionale d'Italia, e con la Legge di univocità del fatto storico. NEL CAMPO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO Archimede da Siracusa (287-212), genio matematico per eccellenza, creò il principio idrostatico che porta il suo nome, e permette alle navi di navigare e agli aerei di volare; inventò straordinari strumenti di guerra, come gli specchi ustori; e applicò genialmente il principio della leva, riuscendo a varare da solo una nave; - Giovanni Alfonso Borelli da Messina (1608-1679) rivoluzionò l'astronomia, spiegando per primo che la traiettoria delle comete, non è circolare, ma ellittica; ed insegnò matematica nell'Università di Pisa, nella cattedra che era stata di Galileo; - Francesco Maurolico da Messina (1494-1574) fu genio poliedrico: introdusse il principio di induzione in matematica, scoperse la stella Nova della costellazione di Cassiopea, nel 1571 tracciò la rotta per le navi cristiane che da Messina partivano per Lépanto, e scrisse una fondamentale opera storica sulla Sicilia, il Sicanicarum rerum compendium; - Giovanbattista Hodierna da Ragusa (1597-1660) fu astronomo, meteorologo e naturalista insigne (studiò per primo l'occhio composito della mosca e il dente della vipera; e pubblicò per primo l'opera di Galileo sulla bilancia idrostatica; - i due matematici siciliani Giuseppe Moleti da Messina (1531-1588) e Giuseppe Scala da Noto (1556-1585) fecero parte della commissione dei cinque dotti, che nel 1582, per volere di papa Gregorio XIII, riformarono il calendario tuttora vigente; il biologo Filippo Arena da Piazza Armerina (1708-1789) studiò per primo in Europa la sessuologia delle piante, mettendone in rilievo l'impollinazione da parte degli insetti; e precorse gli studi di Mendel sull'ibridismo, e di Carlo Darwin sull'evoluzionismo; - Leonardo Ximenes da Trapani (1716-1786) insegnò Idraulica e Astronomia all'Università di Firenze, e vi fondò l'Osservatorio scientifico che ancor oggi porta il suo nome; il botanico Pietro Cùppari da Itala (Messina), 1816-1870, dal 1844 insegnò Agraria nell'Università di Pisa, fondando la moderna agronomia in Italia; Stanislao Cannizzaro da Palermo (1826-1910) insegnò Chimica nelle Università di Genova, di Palermo e di Roma, e inaugurò la teoria atomistica, rivoluzionando la chimica moderna; - Filippo Re Capriata da Licata (1867-1908), professore di Fisica nell'Università di Messina, è stato uno dei precursori della TV, con un suo saggio scientifico apparso in Francia nel 1903; - Ettore Majorana, nato a Catania nel 1906, e misteriosamente scomparso nel 1938, professore di Fisica "per chiara fama" nell'Università di Napoli, e autore della legge HeisenbergMajorana, sulla fissione dell'atomo, è stato uno dei precursori della bomba atomica, poi costruita dal suo amico e collega Enrico Fermi per gli USA durante la II Guerra mondiale; e non è escluso che la misteriosa scomparsa di Ettore Majorana sia dovuta alla precisa intuizione dell'uso micidiale che gli uomini avrebbero fatto della fissione dell'atomo; nel campo tecnologico; quanti sanno che due dei quattro piloni che dal 1973 reggono il "Ponte sul Bòsforo", che a Istanbul congiunge l'Europa all'Asia Minore, sono stati costruiti in Sicilia, a Carini in provincia di Palermo, dalle officine AERSIMM ? La verità è che in Sicilia si sanno costruire anche i ponti sospesi: tranne, naturalmente, quello sullo Stretto di Messina... NEL CAMPO EDITORIALE - Il primo dizionario italiano è opera di un siciliano, ed è il "Vallilium" dello studioso Niccolo Valla da Agrigento, che lo pubblicò a Firenze nel 1500; ed è perciò anteriore di due anni, al famoso "Calepino" del frate bergamasco Ambrogio da Calepio, che lo pubblicò nel 1502; dal 1757 al 1760 vengono pubblicati in Sicilia i tre volumi del Lexicon Topvgraphicum Skulum dello storico catanese Vito Maria Amico (1697-1762), professore di Storia nell'Università di Catania, che costituiscono il primo esempio in Italia di dizionario storicogeografico; - il letterato Vincenzo Linares da Licata (1804-1847) pubblica a Palermo nel 1840 i suoi Racconti Popolari, che è il primo esempio di "novella popolare" in Italia, anticipando il verismo di Verga e di Capuana; - con la sua collana intitolata "I Sempreverdi", alla fine del secolo scorso, l'editore catanese Niccolo Giannotta (1846-1914) fu il primo in Italia a pubblicare "edizioni tascabili"; dal 1929 al 1935 viene pubblicata la monumentale Enciclopedia Italiana (è questo il suo vero nome: ma tutti la chiamano "Treccani" dal nome del suo finanziatore, il conte Giovanni Treccani degli Alfieri, industriale tessile bresciano) in dotti volumi, che la pongono all'avanguardia di altre consimili iniziative europee. Ma non sono molti a sapere che questa prestigiosa opera culturale è dovuta a tre siciliani: a Giovanni Gentile da Castelvetrano (1875-1944) per la direzione scientifica, a Calogero Tumminelli da Caltanissetta (1886-1945) per la direzione editoriale e tipografica, e ad Antonino Pagliaro da Mistretta (1898-1973), professore di Critica semantica all'Università di Roma, per la direzione redazionale. La, tradizione editoriale siciliana, che vanta nomi prestigiosi nella Sicilia del primo Novecento con gli Andò e i Sandron a Palermo, Muglia e Principato a Messina, e Battiato a Catania, continua ancor oggi a Palermo con Flaccovio, Guida, Palumbo e Sellerio, a Catania con Boemi e con Greco, a Messina con Armando Siciliano, a Siracusa con Ediprint e Romeo, e a San Cataldo con le Edizioni Nocera. Fuori di Sicilia, la tradizione editoriale siciliana continua a Milano con i Giùffrè e con i Mursia, e a Firenze con i D'Anna. NEL CAMPO POLITICO E SOCIALE - Il primo Parlamento del mondo è quello siciliano del 1129; mentre quello inglese è del 1264; - la prima grande rivoluzione per la libertà di un popolo, è quella siciliana del Vespro, iniziatasi il 30 marzo 1282; - il sociologo Argisto Giuffredi da Palermo (1535-1593) anticipò di quasi due secoli il pensiero umanitario di Cesare Beccaria, proponendo nel 1580 l'abolizione della pena di morte; - la costituzione siciliana del 1848-49 fu la più liberale e la più democratica che si potesse avere in quei tempi: con l'art. 33 il Re non aveva la facoltà né di sciogliere né di sospendere il Parlamento; mentre con l'art. 2 il Parlamento poteva dichiarare decaduto il Re (e lo fece il 13 aprile 1848, chiamando sul trono di Sicilia il principe Alberto Amedeo di Savoia); due organi importanti del Regno d'Italia sono stati istituiti da un uomo politico siciliano, Filippo Còrdova da Aidone (1811-1868): si tratta della "Corte dei Conti'' e del "Consiglio di Stato"; - l'esperimento sociale della "municipalizzazione del pane" fu voluto e attuato a Catania per quasi quattro anni, dal 17 ottobre 1902 al 19 agosto 1906, dal popolare uomo politico Giuseppe De Felice; e a Catania si mangiò per quasi quattro anni ottimo pane, e a minor prezzo che in qualsiasi altra città italiana; e dall'estero vennero delegazioni per studiare questo straordinario fenomeno sociale, che fu fatto fallire per intrighi politici, e per ruberie locali; - la Sicilia ha dato ben quattro Presidenti del Consiglio all'Italia: Francesco Crispi, dal 1887 al 1891, e dal 1893 al 1896; il marchese Antonino Starrabba di Rudinì, avversario di Crispi, dal 1891 al 1892, e dal 1896 al 1898; Vittorio Emanuele Orlando, dal 1917 al 1919, e salvò l'Italia, portandola dalla sconfitta di Caporetto alla luminosa epopea di Vittorio Veneto; e infine Mario Scelba da Caltagirone, democristiano, nel 1954-55; - e l'Unione Europea ha avuto il suo decisivo avvio dall'opera determinante di un messinese, Gaetano Martino (1900-1967), che da Ministro degli Esteri d'Italia volle e attuò il trattato di Messina del 1955, e quello di Roma nel 1957. NEL CAMPO RELIGIOSO - Oltre a cinque Papi — Sant' Agatone (678- 681), San Leone II (682-683), Conone (686-687), San Sergio I (687-701) e Stefano IV (768-772) — e a innumerevoli Santi e Beati, si ricordi che la data della Pasqua è stata determinata dal siciliano Pascasino, vescovo di Lilibeo (oggi Marsala) e valente matematico, che a richiesta di papa San Leone I, nel 444 stabilì che la Pasqua si dovesse celebrare nella domenica successiva al primo plenilunio di primavera: e così si è fatto da allora; - non sono molti a sapere che la Sicilia celebra un suo speciale Anno Santo, per speciale con cessione di papa Sisto IV al suo medico, il messinese Gianfilippo De Lignamine, che l'aveva guarito da una grave malattia. Questo "Anno Santo" siciliano si celebra a Zafferìa, che è una frazione di Messina, in tutti gli anni in cui il Sabato Santo coincide con la Festa dell'Annunciazione: il che nel nostro secolo è avvenuto nel 1967, nel 1978 e nel 1989; e nel prossimo secolo si verificherà nel 2062 , nel 2073 e nel 2074. Auguri. tra i missionari siciliani, che sono numerosi, ne ricordo solo tre: il domenicano Giordano Ansalone, nato a Santo Stefano Quisquina (Agrigento) nel 1598, e martirizzalo in Giappone nel 1634, che è stato canonizzato da papa Giovanni Paolo II nel 1987; il gesuita Ludovico Buglio, nato a Mineo (Catania) nel 1606, e morto a Pechino nel 1682 dopo 45 anni di permanenza in Cina, che tradusse in cinese la Summa Theologica di san Tommaso, e fu fatto "mandarino" dall'imperatore cinese per le sue benemerenze civili; e il francescano Gabriele Allegra, nato a San Giovanni la Punta (Catania) nel 1907, e morto ad Hong Kong nel 1976, che in trent'anni di duro lavoro tradusse in cinese la Bibbia, e compose il Dizionario biblico meritando da papa Giovanni XXIII il gratificante epiteto di "San Gerolamo della Cina"; e ad Hong Kong nel 1984 si è inizialo il processo canonico per la sua beatificazione. NEL CAMPO RICREATIVO E SPORTIVO - il primo capitano della squadra nazionale di calcio, che nella sua prima partita, giocala a Milano, battè la Francia per 6 a 2, il 15 maggio 1910, è stato il siciliano Francesco Cali da Riposto (1882-1949), che giocava da terzino; e noti calciatori nazionali sono stati il catanese Pietro Anastasi e il palermitano Salvatore Schillaci; nel gioco degli scacchi, una serie di mosse si chiama "Difesa siciliana", perché è stata teorizzata per primo dal siciliano Pietro Carrera, da Militello Val Catania (15731647), nella sua opera II gioco degli scacchi, pubblicata nel 1617; - per gli aspetti gastronomici, ricordo che il primo trattato di gastronomia è stato scritto dal siciliano Archéstrato da Gela nel IV secolo a. C, col titolo Il dolce gusto; e che gli spaghetti non ce li ha portati Marco Polo dalla Cina nel XIII secolo, perché, per testimonianza dello storico arabo Ibn al Idris, nel 1154 essi erano prodotti già da tempo a Trabia (Palerno), e largamente esportati in lutto il bacino mediterraneo; - nella scherma, il siciliano Agesilao Greco, nato a Caltagirone nel 1866, e morto a Roma nel 1963, fu definito "il più grande spadaccino del secolo", perché non fu mai battuto in nessuna competizione, sia nazionale che internazionale; - nell'automobilismo, la più antica gara auto mobilistica internazionale è la "Targa Florio", che si corre dal 1905; e nel ciclismo, il primo giro ciclistico della Sicilia è del 1907, mentre il primo "Giro d'Italia" è del 1909. - l'abolizione del monopolio della RAI, e la con seguente liberalizzazione delle trasmissioni TV in Italia, è dovuta ad una specifica e lungimirante sentenza, emessa il 2 aprile 1976 dal giudice siciliano Michele Papa della Pretura di Catania. Tratto da "Sicilia da conoscere e da amare" del Prof. Santi Correnti.
In siciliano è semplicemente Jaci (dal greco Akùs, penetrante), riferito alle fredde acque del fiume Aci, poi coperto dalle lave dell’Etna. Gli abitanti Acesi; in siciliano, Jacitani.
Giosuè Carducci, parlando della Sicilia nelle sue Primavere Elleniche ha scritto: «Sai tu l’isola bella, a le cui rive manda Jonio i fragranti ultimi baci nel cui sereno mar Galatea vive e sui monti Aci?»; e l’accademico di Francia Renato Bazin, avendola visitata nel 1891, nei suoi Bozzetti italiani ha definito Acireale «cittadina oltremodo affascinante, la più dolce che mi sia stato dato di incontrare in Sicilia».
Nel 1642 Filippo IV, re di Spagna, onorò Aci del titolo di “Fedelissima”, e la dichiarò «città a lui particolarmente cara». Da allora Aci si è chiamata “Acireale”; ma, quando il re ebbe bisogno di soldi, non esitò a venderla al migliore offerente, come accadde nel 1656. Il primo fenomeno di capitalismo borghese nell’isola si è verificato ad Acireale; e che gli acesi siano stimati danarosi, è dimostrato dal detto popolare che suona: E sordi, cci dumanni ’e Jacitani! («Se hai bisogno di soldi, chiedili agli acesi!»).
LA LEGGENDA DI ACI E DI GALATEA
La bellissima ninfa Galatea e il pastorello Aci si amavano teneramente; ma il ciclope Polifemo, poiché Galatea aveva respinto le sue profferte amorose, schiacciò Aci con un enorme masso. In realtà, si tratta di un fatto vulcanico, con le lave dell’Etna che ricoprono un fiume; ma la delicata leggenda ha ispirato un efficace gruppo marmoreo,opera dello scultore acese Rosario Anastasi (1806-76), che si ammira nel bel Giardino pubblico della città.
LE QUATTRO SULTANE DI ACI
Quattro ragazze del litorale acese, tra le molte rapite dai corsari turchi tra il XVI e il XVII secolo, ebbero straordinarie avventure. Di nome Stella, Venera, Rosalia e Rosa; di esse la prima, Stella, divenne addirittura la favorita del sultano Murad III, che regnò dal 1564 al 1595.
IL FUCILE A DOPPIO USO
La leggenda attribuisce al barone Don Arcaloro Scammacca l’invenzione di uno speciale fucile, da cui partivano contemporaneamente due colpi: uno verso il bersaglio e l’altro verso colui che tirava il grilletto. Si dice che egli si sia servito di questo specialissimo fucile, per eliminare non soltanto i suoi avversari, ma anche i sicari, cui affidava le sue vendette. Ma bisogna riconoscere che anche i suoi scherani non dovessero brillare di eccessiva intelligenza, se adoperavano questo “fucile a doppio uso” senza prevederne gli effetti.
ACESI ILLUSTRI
il favolista Verendo Gangi (1748-1816), che meritò di essere chiamato il “La Fontaine della Sicilia”;
il filosofo Giovambattista Grassi Bertazzi (1867-1951), che insegnò all’Università di Catania, e fu sempre coerente antifascista;
il marionettista Emanuele Macrì (1906-74), la cui “Opera dei pupi” divenne un polo di attrazione per il turismo isolano;
il numismatico Agostino Pennisi, barone di Floristella (1890-1963), autore dell’opera Siciliae veteres nummi;
il giornalista Antonio Prestinenza (1894-1967), che per vent’anni diresse il quotidiano «La Sicilia» di Catania;
lo storico Vincenzo Raciti Romeo (1849-1937), puntuale illustratore delle vicende acesi;
il prelato Mariano Spada (1796-1872), che a Roma divenne Maestro dei Sacri Palazzi, e si batté vittoriosamente per l’istituzione della Diocesi di Acireale, ottenuta nel 1844 e funzionante dal 1872;
l’insigne pittore Pietro Paolo Vasta (1697-1760), autore degli splendidi affreschi della basilicata di San Sebastiano.
MODI DI DIRE
Sono quasi tutti influenzati dal campanilismo con Catania; per cui, se gli acesi dicono che i catanesi sono fàusi (falsari), i catanesi rispondono che gli acesi sono trunza (torsi di cavolo); e all’espressione catanese Fari ’na jacitanata (cioè, commettere una stupidaggine), corrisponde quella acese di Fari ’na catanisata, cioè una mascalzonata. Un’espressione tipicamente acese è Irisinni ’e Valateddi, che significa “morire”, perché alle Balatelle si trova il cimitero di Acireale.
LE BORGATE DI ACIREALE
Sono diciotto:
Aci Platani (i cosiddetti Patané, che è anche un diffuso cognome);
Balatelle;
Capo Mulini;
Gazzena;
Guardia;
Màngano;
Pennisi;
Piano Api;
Pozzillo (nota fino a poco tempo fa per le sue acque minerali: del resto, Acireale è una nota stazione termale, con le Terme di Santa Venera);
San Cosmo;
San Giovanni Bosco;
Santa Caterina (i cosiddetti “Cavallari”, per le guardie a cavallo che vi avevano sede, e che sono divenute anch’esse un diffuso cognome);
Santa Maria Ammalati;
Santa Maria la Scala, dove invano gli acesi speravano di costruire un porto per il loro commercio vinicolo;
Santa Maria la Stella;
Santa Tecla (che non è il nome di una santa, ma l’arabo Shant Dagla, che significa “luogo di approdo”)
Scillichenti, detta così perché le cavalcature scivolavano facilmente sull’acciottolato lavico delle strade di campagna;
Stazzo (dal latino statio, porticciolo).
Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Sicilia- Santi Correnti
A picco sul mare venne fondato dai Normanni un castello, attorno al quale si formò il borgo, concesso da Ruggero ai Vescovi di Catania. Nel 1169 un terremoto distrusse in parte il borgo, cosicché la maggior parte degli abitanti si trasferì nel territorio circostante; successivamente il paese fu ripopolato. Mentre il castello appartenne a Ruggero di Lauria, venendo espugnato nel 1297 da Federico II d'Aragona, il borgo rimase a lungo possesso dei Vescovi di Catania. Passato in seguito agli Aragona, Aci Castello fu acquistato nel 1760 da Giuseppe Emanuele Massa. Il castello, assai pittoresco per la sua posizione su una roccia vulcanica e per il colore scuro delle sue cortine, risale, come già detto al periodo normanno (XI secolo), ma si presenta soprattutto nei rifacimenti dei secoli XIII-XIV, con robuste torri merlate. Nel XIX secolo, nell'allora borgo marinaro di Aci Trezza, lo scrittore Giovanni Verga ambientò il romanzo I Malavoglia.
Gli agrumeti interessano la maggior parte della superfice coltivata (circa 520 ha); tra le colture minori prevalgono l'olivo, la vite, il mandorlo e gli ortaggi. Aci Castello è inoltre una frequentata e attrezzata località turistica e balneare.
Da Visitare
il Castello di Aci, su una rupe che si affaccia sul mare. La rupe è costituita da un imponente ammasso di grossi globi basaltici, ciascuno dei quali è coperto da una crosta vetrosa ed internamente diviso in prismi angolosi irraggianti dal centro verso la periferia. Piccole masse di tufo o argilla occupano gli interstizi fra i diversi globi. Questa struttura, di cui esistono pochi altri esemplari al mondo e non così belli, è attribuita a un’eruzione basaltica nel mare poco profondo, nel quale la massa liquida del magma vulcanico, lacerata dalle forze eruttive, si è sparsa come un cavolfiore. Le sue estremità hanno assunto la forma sferoidale, raffreddandosi improvvisamente nella massa esterna, come prova la crosta vetrosa. Una lava relativamente recente, che si ritiene quella 1169, investì la rupe di Aci, formando a nord di essa ampie caverne, in cui sono incrostazioni calcaree con perforazioni di litodomi fino a 6 m sull’attuale livello del mare, il che farebbe ascendere a 8 mm all’anno l’emersione bradisismica del luogo. Il Castello, di lava nera come la roccia su cui sorge, fu eretto nel 1076; appartenne a Ruggero di Lauria e fu espugnato nel 1297 da Federico II d’Aragona.
Questi luoghi sono così suggestivi e seducenti, che una celebre attrice piemontese, Giacinta Pezzana (1841-91), dopo avere girato il mondo, nel 1886 decise di stabilirsi ad Aci Castello, e vi morì cinque anni dopo. Nella piazza antistante il castello c’è un suo busto; e la sua tomba, in pietra lavica, è stata eretta, a spese del Comune, nel cimitero del paese che ella amò sopra ogni altro.
Erice (Monte San Giuliano fino al 1934, Èrici o u Munti in siciliano) è un comune italiano di 28.356 abitanti della provincia di Trapani. E' un borgo antichissimo, situato sulla vetta del Monte San Giuliano a 751 mt. di altezza, il comune conta circa 30.000 abitanti. Il centro cittadino che è posto sulla vetta dell'omonimo Monte Erice, vi sono residenti solo 512 abitanti mentre la maggior parte della popolazione si concentra a Valle, nell'abitato di Casa Santa, contiguo alla città di Trapani. Il centro di Erice si raggiunge da Trapani percorrendo una strada con innumerevoli tornanti porta a più di 750 di altitudine dopo un percorso di 15 km.
Giarre (siciliano Giàrri), è una cittadina di circa 30.000 abitanti ed è situata in provincia di Catania, ad un passo dalle assolate spiagge del mar Ionio e dalle nevi dell'Etna. Il nome di Giarre è di origine commerciale, perché vi erano dei grandi magazzini, sulla via consolare, che in grandi giare (in siciliano, giarri) contenevano le derrate della Contea di Màscali
Giarre è un paese posto alle pendici dell'Etna, sul versante orientale. È situata a circa 80 m sul livello del mare e vanta una solida tradizione di agricoltura, artigianato e commercio. La città è uno dei migliori punti d'osservazione della caldera di collasso della Valle del Bove, nella quale si versano la maggior parte delle colate laviche del versante orientale del vulcano. Il territorio di Giarre è stato sempre risparmiato dalle colate in epoca storica e finora non è mai stato minacciato direttamente grazie anche alla sua relativa distanza dal vulcano. Tuttavia la colata del 1928 che investì la vicina Mascali giunse alle porte della frazione di Santa Maria la Strada. Ci sono delle supposizioni che Giarre abbia come progenitrice Callipolis, città greca fondata nel VII secolo a.C. e distrutta dall'esercito di Ippocrate da Gela nel V secolo a.C.. Non si hanno riferimenti certi, che sull'odierno territorio sorgesse la città di Callipolis, che da etimo greco vuol dire bella città. Fondata nel VII secolo a.C. dai Calcidesi di Nasso e distrutta dall'esercito di Ippocrate da Gela nel V secolo a.C.. L'antica città sarebbe stata vicina ad un corso d'acqua (lato sud del torrente Macchia), vicina al mare e nei pressi di un rigoglioso bosco che avrebbe fornito il legname per le imbarcazioni. Ad oggi, pur non esistendo alcuna fonte certa della corrispondenza tra Callipolis e la cittadina jonica, si segnala il rinvenimento di tracce di una fattoria romana e di manufatti fittili e monete di epoca greca e romana. La tradizione vuole che sorgessero sia un altro insediamento greco come Kalkis (insediamento greco posteriore a Callipolis e formati da alcuni ex abitanti scampati alla distruzione del V secolo a.C.) che un insediamento romano quale Bidium (da precisare che sulla ubicazione di tali insediamenti è tuttora aperta una disputa con il vicino comune di Mascali, che ne rivendica la presenza nell'antico centro di Mascali, distrutto da una colata lavica nel 1928). Rinvenimenti di materiali fittili e monete greche e romane sono stati segnalati nel tempo anche a Giarre centro.
Nel 1081 passa per queste contrade il Gran Conte Ruggero il quale temendo un agguato da parte dei saraceni invocò l'aiuto della Madonna, facendo voto di erigere un Santuario in Suo onore se fosse sopravvissuto. Una leggenda ci racconta che nell'imminenza della battaglia si udì uno squillare di trombe e un folto gruppo di cavalieri, coperti da candidi mantelli, si diresse contro i mori, che intimoriti da tanta forza, si ritirarono senza combattere. Il Condottiero per ringraziamento fece costruire un Santuario dedicandolo alla Madonna della Strada, che tradizione o no, tuttora resta un luogo venerato. Accanto vi fece scavare un pozzo da sempre conosciuto come Pozzo di Ruggero.
Lo storico Santi Correnti da la seguente spiegazione sul pozzo e sul santuario: Nella borgata di Santa Maria la Strada, lungo la Statale 114, c’è un antico pozzo quadrato, e circondato da catene. La tradizione dice che nel 1060 alle truppe del re normanno, tormentate dalla sete, apparve la Madonna che disse loro di scavare in quel punto, per potersi dissetare. I Normanni gridarono al miracolo, e di fronte al pozzo fu eretta una chiesa, che ancora esiste, per ricordare il prodigio
Le prime notizie storicamente valide sulla città risalgono al periodo aragonese quando Re Alfonso (1416 - 1458) pose un gravame sulla borgata, o meglio le poche case sparse, di cui fece dono a Giovanni Montecateno, conte di Adernò. Il gravame imposto fu il dazio della Quartucciata, ossia di la gabella di la caxa di lu vinu e la gabella usus vini che furono poi riscossi anche da Guglielmo Raimondo, figlio del primo concessionario, che a sua volta, nel 1490, ne fece dono al convento di San Francesco di Catania. Nel '500 il vescovo di Catania Monsignor Nicola Maria Caracciolo (1513-1569), nella sua qualità di conte di Mascali, di cui Giarre era quartiere, tra le altre cose lasciò in eredità il fondaco delle giarri. Sempre in questi anni si riscontra in questo territorio un notevole incremento demografico. Il merito va ascritto allo stesso vescovo conte Caracciolo per aver avuto l'intuizione di concedere in enfiteusi (Diritto reale di godimento su un fondo altrui. Con l'obbligo di migliorarlo e a pagare al proprietario un canone annuo in denaro o in prodotti naturali) il territorio della contea. Un territorio ricchissimo di acque e vegetazione e che fino a quel momento non era mai stato utilizzato al meglio. Cosi a poco a poco il bosco di Mascali lasciò sempre più posto alla coltivazione della vite e di altri prodotti dell'agricoltura. Vi furono soprattutto degli investimenti economici di numerosi ricchi borghesi provenienti prevalentemente dalla vicina Acireale e da Messina. Gli abitanti di Giarre del '600, diventata ormai grossa borgata, avvertirono la necessità di avere una chiesa propria. La chiesetta di Sant'Agata e Sant'Isidoro fu ultimata nel 1680 e successivamente dichiarata sacramentale nel 1699. Nei pressi della chiesa si trovavano i magazzini della Contea, con l'antica torre, dove erano riscossi i censi; la costruzione fu demolita nell' 800 per far posto alla Piazza Duomo. Unico ricordo dei magazzini della Reale Contea di Mascali è tramandato da un olio su tela del Tuccari del 1725.
Giarre nel '700 a poco a poco fu proiettata ad occupare un posto preminente in questo versante etneo grazie ad una serie di avvenimenti favorevoli:
lo spostamento della via consolare che venne ad attraversare il centro di Giarre, sostituendo il vecchio tracciato Trepunti-Macchia-Tagliaborsa-Mascali, (Mascali prima dell'eruzione dell'Etna del 1928, che la distrusse completamente in soli tre giorni, era arroccata più a monte, nei pressi di Nunziata, Sant'Antonino);
la realizzazione di una fitta rete viaria che permetteva di far arrivare agevolmente a Giarre, a dorso di muli o sui carramatti, i prodotti agricoli dalle borgate poste in collina. Le derrate in parte venivano imbarcate dalla spiaggia di Sant'Anna (l'antico Arzanà), passando attraverso l'antica via Cecchina;
la istituzione, nel 1761, di un Oratorio dei Padri di San Filippo Neri, che con la loro presenza hanno dato un notevole impulso alla crescita culturale dell'intero quartiere;
l'avvicendamento, dal 1765, con la Mater omnium quartierorum (Mascali), delle massime cariche cittadine per l'amministrazione ordinaria;
l'apertura, nel dicembre del 1784, dello Stradone per Riposto e per il mare (l'attuale Corso Italia) attraverso il quale l'olio ed il vino, che confluivano su Giarre, arrivavano molto più velocemente allo scaru di Riposto per il successivo imbarco con destinazione Malta, Napoli e altri porti del Mediterraneo.
Il 15 Maggio 1815 finalmente, dopo anni di lotte e ripetute suppliche al Re, a Giarre fu concessa l'autonomia da Mascali. Nel territorio assegnato al nuovo comune erano comprese le borgate di Riposto con Torre, Sant'Alfio e Milo che, col tempo, videro riconosciuta anche loro l'autonomia:
- Riposto nel 1841, Sant'Alfio nel 1927 e Milo nel 1955.
- Giarre e Riposto si riunificarono in un unico comune denominato Giarre-Riposto il 9- I I -1939, poi a partire da 12-5-1942 assunse il nome di Ionia, per separarsi ancora in due comuni autonomi il 22-9-1945.
Man mano che la popolazione del centro abitato aumentava e le case si congiungevano l'una all'altra lungo le strade già tracciate, venivano denominati i vari rioni:
Test'a cursa (cima della corsa), nei pressi dell'attuale albergo Sicilia, che era il punto di arrivo di una corsa di cavalli che si svolgeva ogni anno e si snodava lungo la via Callipoli. La corsa partiva dal Funnucu baruni.
Funnucu baruni, rione posto all'uscita nord, cosi denominato in quanto un tempo era il fondaco del barone Musumeci.
Santu Sidurittu, il nome è dovuto alla presenza di un altarino con una statuetta di Sant' Isidoro all'incrocio tra le attuali via Tommaseo e via Trimarchi.
U Ponti, l'attuale Piazza Carmine, un tempo, nei piovosi giorni d'inverno, veniva collocato un ponte sulla strada per Riposto in modo da oltrepassare agevolmente il rio Canalai (il rio Canalai, ora sovrastato da importanti arterie stradali, attraversa tutto il centro storico di Giarre; è stato tristemente "riscoperto" a seguito dell'alluvione del 13-3-95.
I Lochira (le casette), nei pressi dell'attuale via Torrisi, uno tra i primi insediamenti di Giarre, cosi come
'U Cummentu, che si affaccia sull'attuale piazza Macherione dove sorgeva il convento degli Agostiniani Scalzi (oggi sede di uffici comunali)
'u chianu a fera (piazza della fiera), l'attuale piazza Biagio Andò, un tempo denominata piazza Armieri.
Campu Santu Vecchiu, sito adibito fino al '700, prima che fosse emanato l'editto napoleonico di Saint Cloud, a cimitero e poi centralissimo rione popolare.
Curiosità
dal libro "guida insolita ai misteri, alle leggende e curiosità della sicilia di Santi Correnti
Il campanilismo tra Giarre e Riposto scoppiò quando Giarre, nel 1815, ottenne l’autonomia comunale; ed ebbe carattere spiccatamente religioso. Poiché il santo patrono di Giarre è Sant’Isidoro agricola, che è sempre accompagnato da un bue nella iconografia religiosa, i ripostesi definirono cornuti i giarresi; i quali, per ricambiare la cortesia poiché Riposto, paese di mare, ha per patrono San Pietro pescatore, che è sempre raffigurato coi piedi a mollo lungo la spiaggia, gratificarono i ripostesi dell’epiteto di piedi salati, e di tignusi, perché san Pietro è raffigurato calvo.
Indovinello Modicano - Giarre forma, con Riposto, quello che in geografia si chiama “un centro doppio”, perché è unica la via principale, e tra i due abitati non c’è soluzione di continuità. Chi veniva per mare a Riposto, come i commercianti di Mòdica, non riuscendo a distinguere dove terminasse Riposto, e dove cominciasse Giarre, coniarono questo gustoso indovinello, che dice: Tiegnu li giarri miei ’nta lu ripuostu, e lu ripuostu miu dintra li giarri. Che le giare possano entrare in un ripostiglio, è perfettamente comprensibile, ma non si capisce come un ripostiglio possa entrare dentro le giare!
Da Visitare
Chiesa Madre o di Sant'Isidoro agricola
Il palazzo Bonaventura sede del Comune
La Chiesa dei P.P. Filippini o dell'Oratorio
La Chiesa di Santa Maria La Strada
La Chiesa della Madonna del Carmine
Chiesa del Convento o delle anime purganti dei frati agostiniani scalzi di Valverde
La vecchia Chiesa del Calvario E la Parrocchia di Peri
Chiesa o Cappella della Madonna delle Grazie
Chiesa della Badia o di S. Antonio di Padova
La Chiesa di Altarello
Chiesa Arcipretale Maria SS. della Provvidenza in Macchia
Chiesa del Calvario in Macchia
Maria SS. Dell’Addolorata in Macchia
Chiesa di San Matteo A Trapunti
Chiesa parrocchiale Madonna del Carmelo Di Sciara
La Chiesa Arcipretale di San Giovanni Montebello
La Chiesa della Madonna della Libertà in San Leonardello
La timpa di Acireale è stata dichiarata Riserva nel 1999 ed affidata all'Azienda Regionale Foreste Demaniali, La Timpa è un promontorio di circa 80 m di altezza a ridosso della costa di Acireale.
La pasta con il pesto alla trapanese (pasta cull'agghia, in siciliano) è un piatto tipico della cucina di Trapani, esteso anche in provincia. È un piatto antico: nel porto di Trapani si fermavano le navi genovesi, provenienti dall'Oriente, che portarono la tradizione dell'agliata ligure, a base d'aglio e noci, che fu dai marinai trapanesi elaborato con i prodotti della loro terra, il pomodoro e le mandorle.
Riposto è una ridente cittadina ai piedi dell'Etna. Sorge sul mar Ionio, sulla costa che va da Catania a Messina, e rappresenta uno dei più storici e caratteristici paesi marinari dell'area jonico-etnea.
Una delle tante caratteristiche del luogo è la coltivazione della Pomelia. Pianta originaria delle Hawai che è stata importata negli anni dai tanti naviganti Ripostesi. Questa bellissima pianta è un vanto della cittadinanza di Riposto.
Passeggiando per le vie cittadine, non si può non notare gli innumerevoli balconi ornati da questa bellissima pianta ormai naturalizzata a Riposto. Ciò mostra la dedizione e la cura che gli abitanti hanno per questa pianta.
Dal 2012 si tiene a Riposto al Parco Falcone-Borsellino una esposizione dedicata alle varie varietà di Pomelie autoctone della zona di Riposto.
Le Gole dell'Alcantara, dette anche "Gole di Larderia", sono situate nella Valle dell'Alcantara in Sicilia dove termina la catena montuosa dei Peloritani tra i comuni di Castiglione di Sicilia e di Motta Camastra.